Come Janet Echelman usa l’immaginazione

E’ difficile definire le installazioni di Janet Echelman. Sculture volanti? Forse ci si avvicina, ma non rende l’idea. E’ qualcosa di più etereo, nonostante la fragilità sia solo apparente. Vento e luce plasmano forme e suggestioni che riempiono gli occhi di stupore. Insomma, la difficoltà nel definire queste opere sta tutta nell’originalità dell’artista americana, capace di unire arte e tecnologia in una miscela affascinante.

Se poi ci aggiungi un percorso artistico molto singolare, ci sono tutti gli elementi per farne una grande fonte di ispirazione per il pensiero creativo.

Janet Echelman: il potere dell’immaginazione

Non mi voglio vantare. Ho scoperto chi è Janet Echelman poco prima di scrivere questo post. Ignoranza mia, pazienza. Comunque, sai come sono arrivato a lei? Stavo ragionando sulla parola “immaginazione”, concetto super astratto e difficile da chiudere in poche righe di testo. Così mi sono buttato sul web per cercare un’immagine che mi potesse dare qualche spunto.

Gira che ti giro, alla fine mi è parso di vedere una specie di fantasma colorato aleggiare tra dei palazzi. Faccio ancora qualche ricerca e trovo il TED tenuto da Janet Echelman nel 2011: Taking Imagination Seriusly. Bingo!

Prendere sul serio l’immaginazione (traduco così il titolo del TED). Ed è proprio quello che ha fatto lei all’inizio del suo viaggio artistico.

Cosa fare quando ti resta solo una rete da pesca

A leggere il curriculum di Janet Echelman, con installazioni esposte in tutto il mondo e testimonianze di ammirazione di grandi personalità (tra cui Michelle Obama), si resta stupiti nello scoprire che è stata scartata da 7 scuole d’arte e che ha dipinto per 10 anni senza successo. Genio incompreso? No. Era alla ricerca della sua vera strada, che da pittrice anonima l’ha portata passo dopo passo a definire la sua unicità di artista.

La svolta è iniziata nel 1997. Janet Echelman ottiene una borsa di studio Fullbright per l’India con la promessa che avrà la possibilità di esporre i suoi quadri durante delle mostre. Accetta e vola a Mahabalipuram. La prima mostra si sta avvicinando ma accade il primo intoppo: i suoi quadri non arrivano. Coincidenza vuole che il villaggio dove si trova è famoso per la scultura, così inizia a trafficare con le colate di bronzo. E siamo all’intoppo numero 2: realizzare opere di grandi dimensioni è troppo costoso e, senza attrezzature adeguate, il peso stesso dell’opera sarebbe ingestibile.

Non le resta che passeggiare, immagino un po’ sconsolata, sulla spiaggia. Un sacco di volte ha visto i pescatori locali costruire reti da pesca, ma ora lo fa con uno sguardo diverso. Si rende conto che le reti, grazie ai giochi di luce e ai soffi del vento, creano volumi in continua trasformazione. Resta incantata dai movimenti delle superfici e si lascia trasportare dall’immaginazione. Si mette al lavoro e, con l’aiuto di un pescatore locale, realizza la sua prima opera. Non le riesce particolarmente bene, un po’ lo ammette anche Janet, ma le permette di intravedere le potenzialità di una tecnica artistica davvero unica.

Ricerca, duro lavoro e innovazione

Trovare l’idea, facendo correre l’immaginazione, è solo il punto di partenza del processo creativo. Janet Echelman, che non è un architetto o un ingegnere dei materiali, capisce da subito che deve ricercare il materiale giusto per realizzare le sue reti. Le serve qualcosa di resistente che non perda però la morbidezza che rende delicati i movimenti della scultura. Janet, inoltre, pensa in grande: la struttura deve reggere opere di grandi dimensioni, necessarie per creare un mondo dove far viaggiare la fantasia di chi osserva.

Si mette a studiare, collaborando con artigiani indiani e lituani. Approfondisce le tecniche di fabbricazione delle reti, sperimenta e mette sempre più a fuoco la sua idea di arte. Soprattutto, non si accontenta.

Attorno agli anni 2000, arriva la proposta di lavorare a un’installazione permanente per il lungomare di Porto (Portogallo) e capisce di trovarsi di fronte a una sfida che unisce arte e tecnologia. Da sola non può farcela e chiede aiuto a un ingegnere che progetta vele per le barche dell’America’s Cup.

Per creare qualcosa di duraturo serve aggiungere la giusta dose di innovazione. Janet vuole un’installazione che resista alle intemperie e all’inquinamento atmosferico. E per farlo, stringe anche una collaborazione con un’industria che fabbrica reti di fibre high-tech. Nel 2005 “She Changes”, titolo dell’opera, viene posizionata a Praça da Cidade do Salvador a Porto.

A oggi, le opere di Janet Echelman hanno stupito il mondo intero: da New York a San Francisco, da Londra a Porto, da Sydney ad Amsterdam. Tra le sculture più originali, vale citare “1.26” e “1.8”, entrambe nate rielaborando le misurazioni delle onde di due tsunami avvenuti nell’Oceano Pacifico. Geniale.

Qui sotto trovi il TED “Taking Imagination Seriusly”, dove è lei stessa a raccontarci una parte della sua avventura personale e artistica.

Come prendere sul serio l’immaginazione

Janet Echelman ci dimostra cosa fare con l’immaginazione: va presa sul serio. Va rispettata, che significa anche non banalizzarla come un semplice sogno ad occhi aperti fine a sé stesso.

L’immaginazione, dopo averla ascoltata lasciandola libera di fluire, è un terreno fertile su cui si possono costruire grandi cose soltanto a patto di tirarsi su le maniche. Janet Echelman è un altro esempio di come dedizione, intuito, tecnica di esecuzione, ricerca e passione siano tutti ingredienti indispensabili per la creatività.

[…] cercavo la bellezza tradizione, nelle forme artigianali. Ora le combino con materiali high-tech ingegnerizzati per creare forme voluttuose e ondeggianti delle dimensioni di edifici. I miei orizzonti artistici continuano a crescere.

– Janet Echelman, estratto dal TED 2011 –

Photo credit: Janet Echelman, 1.8 above Oxford Circus, 2016 Wikimedia.

Come Janet Echelman usa l’immaginazione ultima modifica: 2017-11-12T16:18:45+00:00 da Alessandro Milani

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