Definirlo un’archistar di sicuro non gli farebbe piacere. Moshe Safdie, pur essendo una leggenda, non è il tipo di architetto alla Frank Gehry (tanto per citare un pezzo da 90, hai presente il Guggenheim Museum di Bilbao?).
Eppure, come tutte le star, è sempre seguito da uno stuolo di ammiratori a ogni convegno. Le sue opere sono infatti un tassello fondamentale dell’architettura contemporanea. Mai scontate, mai fine a sé stesse, seriamente progettate per consegnare alla comunità qualcosa di utile.
Ecco perché oggi te ne parlo e gli riservo un posto d’onore tra le fonti di ispirazione. L’utilità, nel senso più ampio possibile, è lo scopo della creatività e dell’innovazione.
Moshe Safdie: non un predestinato, ma nemmeno uno qualunque
Safdie non è cresciuto con il pallino dell’architettura. Nato in Israele nel 1938, con la famiglia si trasferisce in Canada nel 1953. Durante gli anni di liceo, ad Haifa, si interessa di matematica e chimica. Da grande vorrebbe studiare agraria per aiutare lo sviluppo del suo Paese. In Canada però la sua vita prende una nuova direzione. In un test attitudinale salta fuori che, potenzialmente, è portato per l’architettura. “Perchè no?” potrebbe aver detto leggendo il responso. Ormai lontano da Israele, coglie al volo il suggerimento.
A Montrèal decide così di iscriversi alla McGill University. In quel periodo, durante un viaggio studio nelle grandi metropoli nordamericane, resta colpito (diciamo pure sconvolto) dall’edilizia popolare. Schiere di palazzoni anonimi sono circondati da vasti sobborghi tagliati fuori dal centro cittadino. Se vuoi stare in una città è così che funziona, sembra essere la regola dei pianificatori urbani dell’epoca. Il risultato è una bassa qualità della vita e la dipendenza dalle auto come unico mezzo di trasporto.
Safdie torna a casa con un pensiero fisso: ci deve essere un altro modo per fare le cose. Capisce che bisogna reinventare l’edilizia residenziale. Niente male per un ragazzo di 23 anni.
Nel 1961 ottiene la laurea in architettura e inizia la sua carriera a Philadelphia, nello studio di Louis Kahn.
Unire il vecchio per ottenere un nuovo migliore
Dopo il viaggio studio, Safdie, continua a coltivare l’idea di realizzare forme più sostenibili di edilizia residenziale. Vuole progettare qualcosa di più efficiente e di più vivibile, e inizia a lavorarci già durante la tesi di laurea.
Nelle grandi metropoli l’alta densità urbana era (ed è) un problema. L’edilizia a più piani sembrava l’unica soluzione, che però consegnava ai suoi abitanti quartieri lugubri, anonimi, senza spazi verdi, dove non ci si poteva sentire a casa. I sobborghi di villette a schiera, d’altra parte, si stavano letteralmente mangiando grandi aree di terreno incontaminato. Un sistema di progettare le città inefficiente e che, secondo Moshe Safdie, non poteva durare a lungo. Tra i palazzi e le villette, serviva una terza via.
Il progetto Habitat 67
Siamo nel 1964 e Moshe Safdie decide di mettersi in proprio. Torna a Montreal e, in vista di EXPO 67, recupera il progetto elaborato durante la tesi alla McGill University. Ed ecco prendere forma l’opera pionieristica che lo renderà famoso in tutto il mondo: Habitat 67.
Safdie progetta un unico complesso archittettonico, organizzato a livelli, che unisce servizi residenziali, commerciali e istituzionali. Le superfici inclinate che lo caratterizzano, regalano a tutti gli abitanti una vista sul panorama esterno, esponendo ogni angolo della costruzione alla luce naturale. Ad ogni livello, inoltre, sono previsti spazi comuni e aree di gioco per i bambini.
E’ la dimostrazione che, reinventando i canoni di progettazione, vivibilità e ottimizzazione dello spazio possono convivere felicemente. Tutto questo, a un prezzo concorrenziale, considerando che l’intera struttura viene composta da elementi prefabbricati facili da replicare.
Presentato al Governo Canadese, il progetto ottiene una rapida approvazione e diventa l’attrazione principale di EXPO 67.
Costruire qualcosa di unico
Moshe Safdie si è distinto per le sue costruzioni innovative, molte delle quali sono diventate un’icona delle città che le ospita. Il suo credo però non è stupire il mondo, ma offrire qualcosa di utile e ben progettato. A modo suo, cerca di risolvere i problemi di un mondo sempre più veloce, congestionato, complesso e globalizzato.
La lista dei suoi progetti è davvero lunga. Rispetto alle archistar più note, lo stile di Safdie è però molto più difficile da riconoscere, svuotato com’è da personalismi e da “marchi di fabbrica” riproposti in ogni costruzione.
E’ comunque possibile riconoscere un elemento ricorrente: la ricerca dell’unicità, intesa come la capacità di cogliere l’essenza e l’identità di un luogo. Per farlo, serve una creatività davvero camaleontica. Nel caso di Moshe Safdie, viene guidata da una filosofia progettuale ben precisa, che unisce fin da tempi non sospetti una profonda vocazione alla sostenibilità ambientale e sociale.
L’architettura deve avere uno scopo
Moshe Safdie mette il suo talento al servizio di uno scopo preciso e responsabile: creare spazi sociali che includano le persone, migliorando la loro vita. La vita pubblica e il senso di comunità sono al centro della progettazione, che si tratti di musei, biblioteche, parchi o abitazioni. Ancora di più se vengono realizzati complessi architettonici enormi, dove l’essere umano non può essere solo una comparsa in una scenografia bellissima ma invivibile. Bisogna umanizzare i megaspazi, come dice Safdie nel sito del suo studio.
Ora, per concludere, prendiamola larga. L’innovazione e la creatività dovrebbero sempre avere uno scopo. Quando sono solo una dimostrazione pirotecnica di bravura o di stravaganza, che di fatto non porta nessuna utilità (anche un quadro o una canzone, se dotati di senso e sensibilità, hanno una loro utilità) allora possono essere messe da parte.
Colui che va alla ricerca della verità troverà la bellezza.
Colui che va alla ricerca della bellezza troverà la vanità.
Colui che va alla ricerca dell’ordine, troverà la gratificazione.
Colui che va alla ricerca della gratificazione, rimarrà deluso.
Colui che si considera servo dei suoi simili troverà la gioia dell’auto espressione.
Colui che va alla ricerca dell’auto espressione, cadrà nella fossa dell’arroganza.L’arroganza è incompatibile con la natura.
Attraverso la natura, la natura dell’universo e la natura dell’uomo, andremo alla ricerca della verità.
Se andiamo alla ricerca della verità, troveremo la bellezza.
– Moshe Safdie –
Photo credit immagine di copertina: Wikimedia Commons.