Pilvi Takala e l’apprendistato del non fare niente

Se dico “creatività”, qual é la prima cosa che pensi? Probabilmente un gesto creativo. Scrivere, dipingere, condurre un esperimento, disegnare un progetto e così via. Gli esempi possono essere infiniti, ma quasi sempre si ricollegano a un’azione. E di per sé non c’è niente di strano.

L’atto creativo, tuttavia, rappresenta solo la parte conclusiva del processo che porta a realizzare qualcosa di nuovo. La tendenza a ignorare tutto quello che è avvenuto prima è abbastanza diffusa. Una delle parti più difficili da gestire, ad esempio, è l’incubazione. Quel momento, a volte piuttosto lungo, in cui il cervello elabora le informazioni e le riorganizza nell’illuminazione (quando cioè ci si accende la lampadina). In apparenza sembra che non succeda niente e restiamo in una specie di limbo improduttivo che ci lascia perplessi.

Questa sensazione può anche metterci a disagio, soprattutto se consideriamo la creatività a partire da “quanto” sta producendo. Ogni volta che ci ritroveremo a non fare niente, ci sentiremo come se qualcosa non stesse girando nel verso giusto. O peggio, lo vivremo come uno spreco di tempo. Se non lo penseremo noi, ci sarà il giudizio di qualcuno a ricordarcelo.

Su questo credo intervenga anche una certa pressione sociale che condanna il non fare niente. Ne siamo tutti vittime, riempiendo le nostre giornate con liste di cose da fare (alcune delle quali potremmo eliminarle senza perdere un gran che). Cosa succede infrangendo le cosiddette “regole non scritte” sul non fare niente? Un esempio è quello che ci mostra l’artista finlandese Pilvi Takala nella sua performance The Trainee.

Chi è Pilvi Takala

Pilvi Takala è un’artista molto particolare. Il filo rosso che lega le sue opere è la rottura delle convenzioni sociali, senza arrivare a gesti eclatanti. Al contrario, attraverso situazioni paradossali, ci mostra quanto ci adeguiamo a certe regole ritenendole le uniche accettabili. Quando non la vediamo rispettate, perché accade qualcosa di imprevisto (e quindi deviante dallo standard), proviamo un misto di paura e disagio. Di solito reagiamo esercitando una certa pressione perché la situazione rientri in quella che crediamo sia la normalità.

Pilvi Takala, all’epoca una ragazza di 27 anni, nel 2008 si è finta una stagista trascorrendo un mese negli uffici Deloitte di Helsinki. Questa performance, realizzata in collaborazione con l’azienda, è stata documentata nella sua opera The Trainee.

Lavorare con la mente

Inserita all’interno del reparto marketing, Takala ha passato intere giornate restando a guardare nel vuoto. In The Trainee la vediamo seduta a una scrivania in mezzo a colleghi indaffarati. Se all’inizio qualcuno resta incuriosito, facendole qualche domanda di circostanza, mentre la performance prosegue lo stupore e una sottile ironia inizia a farsi largo.

In un primo momento si pensa che il marketing abbia abbandonato a sè stessa l’ennesima stagista. Sembra la situazione più ovvia. Takala spiazza però i colleghi dando motivazioni piuttosto stravaganti. Alla domanda “Di cosa ti stai occupando?”, lei risponde “Sto lavorando con la mente”.

Qualcuno, allarmato, arriva anche a inviare un’email per segnalare questa anomalia. Sta accadendo qualcosa al di fuori da quello che succede in un ufficio “normale”, che supera la comprensione della realtà che abbiamo attraverso le nostre abitudini.

Una situazione simile si ripete nella sala lettura dell’azienda, dove la stagista resta seduta per delle ore a guardarsi intorno senza fare niente.

L’aspetto interessante di queste performance non è tanto lo stupore comprensibile dei colleghi. Piuttosto, il crescente fastidio che provano davanti a una persona che rompe deliberatamente le regole aziendali. La situazione non è più vissuta come divertente, uno di quegli aneddoti di cui ridere in pausa caffè, ma come qualcosa di pericoloso.

E’ come andare in treno

Un altro episodio di questa opera è “a Day in the Elevator”, dove Takala trascorre un’intera giornata in ascensore. Man mano che passa il tempo, cresce l’imbarazzo e l’atteggiamento evitante dei colleghi. Si percepisce un senso di minaccia latente e le persone non vedono l’ora di uscire dall’ascensore e da quella situazione destabilizzante.

A un ragazzo che le chiede dove stia andando, Takala risponde che sta viaggiando. E’ un po’ come andare in treno, aggiunge. “Il ritmo dei pensieri qui è diverso”. Ad altri colleghi, parlando del suo restare in ascensore, dice “Come in treno, riesco a pensare in modo diverso quando si muove”.

Dalle reazioni che riceve, si intuisce che la giovane stagista viene assecondata come si fa con chi è affetto da disturbi mentali.

Pilvi Takala, The Trainee (2008)

Come scrive Pilvi Takala nel suo sito, mascherare la propria pigrizia sul lavoro fingendo di essere impegnati o navigando su Facebook rientra nei comportamenti accettati. Non fare niente senza nasconderlo rompe però l’equilibrio del gruppo in cui si è inseriti.

Ignorare questa situazione non calma il fastidio generato da quello che viene ritenuto inaccettabile. Le persone che assistono, infatti, provano a trovare una soluzione per ritornare alla normalità (esercitando quindi la pressione sociale di cui parlavo sopra).

In conclusione

Questo post non vuole essere un invito a passare le giornate sul divano o a fissare un punto indefinito di una parete. L’obiettivo è mostrare come siamo inseriti in una fitta rete di regole non scritte che influenzano il nostro comportamento e le nostre emozioni. Da un lato subiamo l’influenza esterna, dall’altro ci auto-regoliamo (a volte limitandoci) per adeguarci a quanto riteniamo “giusto”.

Queste regole riguardano anche il non fare niente, che spesso viviamo con un certo disagio. Tendiamo, infatti, a scappare dalla noia o ad affrettare quello che facciamo per ottenere un risultato il prima possibile. Addirittura, ci sentiamo in colpa se non facciamo niente. E di solito reagiamo con una serie di azioni frenetiche convinti che l’importante sia fare qualcosa. Non importa cosa, conta soltanto fare. I ritmi serrati, e la spinta a produrre sempre risultati positivi, ci tolgono però quegli spazi necessari per coltivare il pensiero creativo.

Un’idea originale ha bisogno di tempo, a volte molto, per lievitare. Esserne consapevoli ci aiuta a ricercare dei momenti di pausa e a viverli con più serenità. Tenendo a bada i dilemmi interiori e i giudizi di chi ci circonda, si impara anche a non fare niente in modo produttivo.

Photo credit: Free-Photos.

Pilvi Takala e l’apprendistato del non fare niente ultima modifica: 2019-10-13T12:50:29+00:00 da Alessandro Milani

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